lunedì 23 maggio 2016

Donald Neilson: dalla cronaca allo schermo


Lo sceneggiatore Michael Armstrong (già autore di un cult come La tortura delle vergini, 1970) racconta la genesi di Donald Neilson, illustrando come il copione si basi direttamente sulle testimonianze rese dai protagonisti dei fatti reali.

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Quando mi fu chiesto di sceneggiare Donald Neilson, la iena di Londra, non avevo mai scritto niente basato su eventi reali tratti dalla cronaca, e sentii che questa sfida sarebbe stata un'ottima occasione per imparare. Non potevo prevedere, però, l'effetto che questa esperienza avrebbe avuto sulla mia vita. Fin dall'inizio, io e Ian eravamo d'accordo che non avremmo sfruttato a fini commerciali l'aspetto scandalistico della vicenda, mantenendoci accuratamente fedeli alla cronaca senza però trasformare il film in un documentario romanzato.
La domanda fondamentale era “Quali sono state le motivazione di Neilson?” Pensai che la soluzione migliore fosse che Neilson esponesse le sue ragioni, in modo che il pubblico potesse ricostruire una propria verità mettendo a confronto i fatti e l'ottica del protagonista. Questo implicava che avremmo ricostruito soltanto gli eventi verificabili, facendo affidamento sulle testimonianze dei presenti e, soprattutto, sulla deposizione di Neilson durante il processo. Alcuni testimoni, però, rifiutarono di collaborare con noi. Il fratello di Lesley Whittle, in particolare, espresse il desiderio di non essere coinvolto nel film, pregandoci di non disturbare la sua famiglia.
I mass media avevano coperto abbondantemente il caso, intervistando anche la figlia di Neilson, così per i dialoghi sviluppai una tecnica narrativa che spesso citava alla lettera le testimonianze e le interviste sui giornali. Più procedevamo nella raccolta delle informazioni e più ci accorgevamo che c'erano due storie che avrebbero meritato di essere raccontate: quella di Neilson, ma anche un'altra, che riguardava il coinvolgimento dei media e della polizia. Con Ian capimmo presto che, dando spazio a questo secondo aspetto, avremmo penalizzato il personaggio di Neilson. Inoltre avevamo abbastanza problemi, visto che in molti cercavano di impedirci di realizzare il film, per cui non era il caso di inimicarsi anche la stampa e la polizia. Riducemmo al minimo indispensabile la presenza di poliziotti e giornalisti, anche se speravamo che queste poche scene fossero comunque sufficienti a suggerire che c'era un secondo livello, altrettanto inquietante, dietro la storia che raccontavamo.
Per il Natale del 1976 avevamo già una prima stesura completa del copione, di cui consegnai la versione definitiva il 31 gennaio 1977. Il film entrò immediatamente in pre-produzione. Di solito io mi lascio coinvolgere molto durante le riprese, ma il lavoro su questo copione mi aveva talmente disturbato che, al contrario, mi tenni lontano dal set per molti giorni. Più che di scrivere una sceneggiatura, mi era sembrato di redigere un'autopsia. Per dare credibilità a un personaggio, uno scrittore ha bisogno di diventare quel personaggio, e in questo caso cercare di rievocare l'orrore vissuto dalle persone coinvolte fu davvero sconvolgente. Non mi pento di questa esperienza, perché mi ha insegnato molto, ma dubito seriamente che accetterei di nuovo di lavorare su un caso di cronaca nera. Subito dopo l'uscita di
Donald Neilson, parecchi produttori mi cercarono infatti per scrivere una sceneggiatura sul caso degli “omicidi delle brughiere”. Dopo l'esperienza su questo film, bastò la sola idea per darmi il voltastomaco.

Michael Armstrong

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